Urlo della Poiana - Punta Pioda in valle Antigorio

L’idea di percorrere L’Urlo della Poiana si è insinuata in me circa tre anni fa. La guida Ossola Rock parlava di un avvicinamento “eterno” e di una via con poche ripetizioni, quanto basta per renderla irresistibile ai miei occhi.

Ai tempi però non ero ancora in grado di affrontare le difficoltà tecniche della via e non ero nemmeno a conoscenza di volenterosi arrampicatori intenzionati a percorrere avvicinamenti così lunghi. Mi sono dunque limitato ad accantonare questo piccolo sogno, mettendo però un segnalibro arancione sulla pagina (ebbene sì, sono affetto da questa ossessione di inserire tanti Post-it colorati nelle guide...).

A inizio estate Enrico Manna mi comunica che trascorrerà un paio di mesi in Ossola e mi propone di andarlo a trovare per fare alcune uscite insieme. Inizia quindi uno scambio di mail per valutare le possibili mete e sfogliando la guida mi soffermo un momento sul Pizzo Pioda, ma poi accantono l'idea pensando che sia una proposta troppo azzardata, così mi oriento verso i luoghi più conosciuti e frequentati dell’Ossola.

Con mia grande sorpresa tra le proposte avanzate da Enrico c'è anche il nome del Pizzo Pioda.

Incredulo, chiedo a Enrico se intende effettivamente “quel” Pizzo Pioda (come se ce ne fossero altri...) e scopro che è proprio così: non avrei mai e poi mai sperato di trovare un’altra persona interessata a percorrere L’Urlo della Poiana, tantomeno tra i miei amici!

Dopo aver effettuato insieme alcune vie di arrampicata a luglio, decidiamo che è ora di tentare la via. Il 5 agosto alle 4:00 di mattina ci troviamo all'inizio del sentiero che conduce all’Alpe Colla, che percorriamo nei tempi previsti (1h 30’ circa), grazie ad una preventiva perlustrazione fatta da Enrico e Eleonora nei giorni precedenti.

Arrivati alla cappelletta dell’Alpe Colla troviamo una coppia che bivacca alle stelle ed io, scherzosamente, avanzo l’ipotesi che siano qui per ripetere anch’essi la nostra stessa via. Ma il destino ha in serbo per noi un incontro ancora più improbabile: uno di loro è infatti Loris, uno degli apritori della via! Spiazzato anch’egli dalla nostra presenza e dal nostro progetto, i suoi occhi passano gradualmente dallo stupore iniziale alla gioia di vedere qualcuno interessato a ripetere la sua via. Dopo aver ricevuto alcuni utili consigli per l’avvicinamento, ci congediamo e riprendiamo la nostra marcia.

Da qui dobbiamo proseguire seguendo la descrizione della guida  ele indicazioni di Loris, ma per fortuna i primi raggi di sole giungono in tempo ad aiutarci nella nostra esplorazione.

Procediamo inizialmente, lungo un’esile traccia segnalata da piante e arbusti tagliati, che poi si inoltra nel canalone che scende dal Pioda: in quest’ultimo tratto però non si può più parlare di “sentiero” perché le poche tracce presenti sono opera degli animali e si perdono rapidamente nella fitta vegetazione. Avanziamo lentamente e a tentoni, guadagnando faticosamente l’uscita da questo dedalo di arbbusti, fino a raggiungere la parte terminale dell’avvicinamento, un misto di placconate bagnate e ripidi prati.

Un branco di camosci, evidentemente poco abituati alla presenza umana in questi luoghi, scappa alla velocità della luce non appena si accorge di noi. Arriviamo all’attacco della via dopo più di cinque ore di camminata.

Due tiri di bella arrampicata verticale ci permettono di raggiungere la zona più abbattuta e più facile dello spigolo, un piacevole intermezzo per recuperare un po’ di energie prima degli impegnativi tiri finali. Una placca tecnica ed un bellissimo traverso portano alla verticalissima parte terminale dello spigolo. Iniziamo ad accusare un po’ di stanchezza e dunque accantoniamo subito il tentativo di arrampicare in libera.

A Enrico spetta il tiro chiave, un bellissimo diedro ottimamente chiodato seguito da una fessura fisica e continua in massima esposizione. Arrivo in sosta piuttosto provato e l’idea di affrontare il tiro successivo non mi entusiasma, così per un momento penso di cedere il passo a Enrico. Poi però scatta dentro di me una scintilla di orgoglio e decido di non sottrarmi ai miei doveri: parto dunque per il decimo tiro, azzerando le difficoltà dei primissimi metri grazie ad un provvidenziale chiodo arruginito, e poi riprendo ad arrampicare cercando di centellinare le poche energie rimaste. Con grande (e forse futile) soddisfazione riesco ad arrivare in sosta senza ulteriori resting o azzeramenti, un buon compromesso che mi permette di far pace con la mia autostima.

Manca un ultimo semplice tiro per terminare la via ma sfortunatamente inizia a piovere. Decidiamo di aspettare al riparo del tetto che sovrasta la decima sosta, nella speranza che si tratti di una nuovola passeggera...e invece la pioggia aumenta di intensità, bagnando completamente tutta la parete.

Passano circa venti minuti e finalmente il meteo ci concede una tregua: nonostante la roccia sia completamente bagnata, dobbiamo uscire al più presto perchè le nuvole continuano ad incombere su di noi. E così anche l’ultimo facile tiro finisce per richiedere la sua dose di impegno, ma fortunamente Enrico riesce a proteggersi egregiamente e raggiungiamo l’ultima sosta prima che riprenda a piovere.

Da qui non ci resta che percorrere un semplice tratto di roccette e di cresta erbosa, ma il terreno bagnato ci impone di procedere legati. Le nuvole si stanno aprendo sopra di noi, anche se una pioggerellina incessante continua a martellare sui nostri gusci. Di fronte a noi, sulla Punta della Rossa il cielo è nero e si sentono dei tuoni in quella direzione: la fortuna è stata benevola nei nostri confronti!

Raggiunto il sentiero, una sensazione di sollievo inizia a farsi largo dentro di noi, anche se un lungo rientro ci attende. Il sentiero di discesa si rivela essere un’esile traccia da seguire con molta attenzione, ma almeno non comporta ulteriori “lotte” con la fitta vegetazione. Stanchi e assetati cerchiamo di mettere in fila un passo dietro l’altro in direzione dell’Alpe Colla, a noi visibile fin da subito, ma essa sembra allontanarsi man mano che scendiamo. I pensieri del rientro sono tutti rivolti alle piccole cose che desideriamo in questo momento: bere un po’ d’acqua, levarsi questo maledetto zaino dalle spalle, riposare le gambe logorate dalla fatica.

La fatica...forse è proprio lei che cerchiamo inconsciamente, perché solo lei ci permette di apprezzare appieno le cose essenziali della vita che solitamente diamo per scontate.

Alle 21:00 arriviamo all’auto esausti: è stata una lunga e faticosa giornata ma finalmente posso rimuovere quel segnalino dalla guida! Sul momento prometto a me stesso che non farò più sfacchinate simili, ma sto mentendo a me stesso: pochi giorni dopo infatti sarò nuovamente intento a piazzare segnalini arancioni sulle mie guide e a sognare il momento di poterli rimuovere.

 

di Gianluigi Pertusi